White Paper sulla mobilità sostenibile - IX Edizione

Come cambia la mappa delle supply chain

L’industria automobilistica sta affrontando un tema vitale per il settore: l’assestamento delle catene di fornitura internazionali dopo il doppio shock dovuto alla pandemia da Covid-19 e al riassetto geopolitico provocato dalla guerra in Ucraina.

Queste crisi interconnesse hanno causato interruzioni senza precedenti delle forniture, particolarmente gravi nel caso dei semiconduttori, la gran parte dei quali viene prodotta a Taiwan. Come approfondito nel White Paper sulla mobilità sostenibile 2022, i semiconduttori sono elementi strategici soprattutto per l’industria dell’auto elettrica. Si è infatti calcolato che un motore elettrico contenga in media 2,3 volte più semiconduttori che in un motore a scoppio.

Il risultato è stato che circa il 12% della produzione automobilistica globale è scomparsa dal 2020 al 2022, complicando così gli sforzi dell’industria per introdurre importanti cambiamenti tecnologici nella progettazione dei veicoli. La concentrazione della produzione di chip in alcuni Paesi rappresenta un rischio visto che l’80% della capacità di fabbricazione si trova nella Cina continentale, a Taiwan e in Corea del Sud, regione dove continuano a crescere le tensioni geopolitiche.

La lezione imparata dalle aziende del settore è che va rivista la dipendenza da alcune fonti di approvvigionamento, concentrandosi sul garantire una catena di fornitura resiliente. Secondo il report del Capgemini Research Institute “Automotive Supply Chain: Pursuing long-term resilience”, pubblicato nel 2023, le aziende automobilistiche si sentono più preparate ad affrontare le future interruzioni della catena di fornitura rispetto al passato. La ricerca di alternative da parte dei maggiori produttori di veicoli a motore è di fatto già iniziata da alcuni anni ed ha portato ad un taglio degli investimenti europei in Cina del 10% circa, mentre anche da parte delle aziende USA è emersa la necessità di rivedere le mappe delle forniture.

Una delle strategie che ha portato alla riorganizzazione globale è quella della Nearshoring, ovvero la rilocalizzazione dei processi aziendali in paesi vicini a quello d’origine, con il risultato di una netta riduzione delle forniture da siti offshore – cioè i siti produttivi situati in Paesi molto distanti dalla sede originale. Tutto questo per riuscire a minimizzare i rischi di shock che potrebbero causare nuove interruzioni della supply chain.

Secondo Capgemini questa “deglobalizzazione” dell’industria automotive si è tradotta, in un solo anno, in un calo dell’8% degli approvvigionamenti di merci in modalità offshoring: nel 2021 rappresentavano il 36% del valore delle forniture, nel 2022 il 28% (in termini percentuali, un calo del 22%). Si prevede che ci saranno ulteriori diminuzioni (il 19% in media) entro il 2025 a causa dell’aumento della capacità produttiva di veicoli elettrici e di batterie nelle economie occidentali. L’Europa è in testa a questa tendenza, con un calo dell’offshore del -25% dal 2021 al 2022, seguita dalla regione Asia-Pacifico e dagli Stati Uniti, rispettivamente al -20% e -18%.

Il valore delle forniture per mercato di provenienza nel settore automotive
offshore
nearshoring
mercati domestici

Intanto, la Cina ha battuto altri due record: nel 2023 i suoi consumatori hanno infatti acquistato – secondo le ultime stime – 8,5 milioni di veicoli ibridi ed elettrici (EV), e i suoi produttori ne hanno consegnati all’estero oltre 5 milioni. L’aggressività commerciale delle sue aziende automotive, in particolare nel comparto EV, ha permesso alla Cina di superare per la prima volta nel 2023 il Giappone come maggiore esportatore di automobili su scala globale. Dati che hanno fatto scattare l’allarme in Europa, dove Pechino nel 2022 deteneva l’8% del mercato europeo – e secondo le stime di Bruxelles arriverà al 15% entro il 2025.

Auto che non inquinano e che costano il 20% in meno rispetto a quelle made in UE, dove la produzione resta un problema per via dei costi delle batterie, a differenza dei concorrenti asiatici dove si è scommesso molto di più sulle auto elettriche, considerando anche che circa il 65% delle celle delle batterie e quasi l’80% dei catodi sono prodotti nella Terra del Dragone.

Per Bruxelles il prezzo degli EV cinesi venduti in Europa è dovuto in gran parte ai sussidi stanziati dal governo cinese negli ultimi anni. Per frenare l’avanzata cinese il 4 ottobre 2023 la Commissione ha avviato d’ufficio un’inchiesta anti-dumping che, nei prossimi mesi, potrebbe portare all’aumento dei dazi sulle importazioni nell’UE di veicoli elettrici “made in China”, attualmente del 10 per cento. Sul punto non ha mancato di farsi sentire, con il suo stile diretto, il cofondatore e amministratore delegato di Tesla Elon Musk che, dopo aver lodato i costruttori cinesi definendoli «i più competitivi al mondo», ha avvertito che «se non saranno imposte barriere commerciali, demoliranno la maggior parte delle case automobilistiche».

L’attesa, quindi, è concentrata sulla prossima mossa, ossia l’apertura della prima fabbrica di EV cinesi sul suolo dell’UE. La casa di Shezhen BYD – Build Your Dreams, che nel quarto trimestre del 2023 per la prima volta ha superato Tesla come maggior produttore mondiale di BEV (I dati del mercato globale), ha infatti annunciato che costruirà a Szeged, nel sud dell’Ungheria, la sua prima factory dedicata esclusivamente alla produzione di auto elettriche e ibride.

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