La crisi dell’automotive non ha risparmiato Stellantis, il colosso nato nel 2021 dalla fusione tra PSA e FCA. Le dimissioni dell’amministratore delegato Carlos Tavares, nel dicembre 2024, segnano un momento critico per l’azienda, che si trova ad affrontare una trasformazione epocale della catena del valore. A ottobre 2024, le vendite di Stellantis in Europa hanno registrato un calo del 17%, con una quota di mercato scesa dal 17,4% al 14,4%. In Italia, il gruppo ha immatricolato 428.205 vetture nei primi undici mesi del 2024, in calo del 22% rispetto alle 549.775 immatricolazioni del 2021. Il terzo trimestre 2024 ha visto una contrazione dei ricavi del 27%, arrestatisi a 33 miliardi di euro.
La produzione del gruppo nei suoi stabilimenti in Italia è crollata passando, secondo i dati diffusi dal sindacato Fim Cisl e non smentiti dall’azienda, da 751mila veicoli nel 2023 a 475mila nel 2024. Si aggrava una tendenza in atto da tempo: nel 2017 la produzione superava il milione di unità.
Il presidente del CDA, John Elkann, è ora chiamato a guidare l’azienda in una fase di profondo cambiamento. Pur dichiarando di non volersi fondere con altri costruttori, Elkann ha mostrato l’intenzione di rafforzare l’asse franco-italiano e di mantenere i 14 marchi del gruppo. Tuttavia, le sfide non mancano: la delocalizzazione delle fabbriche ha scatenato critiche, in particolare dai sindacati, che chiedono un piano industriale chiaro per rilanciare l’occupazione in Italia. Le decisioni di Elkann, tra cui la possibilità di concentrare gli sforzi sulle auto ibride anziché sulla mobilità elettrica pura, saranno cruciali per il futuro di Stellantis e dell’intero settore in Italia.
L’intero comparto automotive italiano – di cui Stellantis, erede dei marchi e della storia industriale Fiat, è la colonna portante – è al bivio. Gli obiettivi europei di decarbonizzazione impongono il passaggio alle tecnologie a zero emissioni entro il 2035, ma l’Italia si trova in ritardo. Le sfide includono la scarsa domanda di veicoli elettrici, una rete di infrastrutture inadeguata e il rischio di deindustrializzazione. La produzione di auto è in costante calo, con un -30% registrato dall’Istat a settembre 2024 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.
Associazioni di settore come ANFIA – Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica propongono interventi concreti: incentivi strutturali fino al 2026 per il rinnovo del parco circolante, piani per la riconversione delle filiere e investimenti in infrastrutture di ricarica. Tuttavia, senza una politica industriale chiara, il rischio è che l’Italia perda competitività rispetto a mercati globali più dinamici come Cina e Stati Uniti. A contribuire a questa situazione di svantaggio anche il taglio del “fondo automotive” previsto dalla Legge di Bilancio 2025, con 4,6 miliardi di euro in meno rispetto a quanto stanziato dall’allora governo Draghi.
Alcuni esperti di settore, tra cui Massimo Nordio, Presidente di Motus-E, vedono nella transizione un’opportunità per rilanciare l’industria, spingendo verso innovazioni tecnologiche e nuovi modelli di business. Il tempo, però, è un fattore determinante: l’Italia deve accelerare per non rimanere indietro, trasformando la sfida ambientale in un’occasione per consolidare il proprio ruolo nel panorama automobilistico internazionale.