Negli ultimi due decenni, il panorama industriale globale ha visto un progressivo spostamento del baricentro produttivo e tecnologico verso l’Asia e, in misura minore, verso gli Stati Uniti. Questo cambiamento ha lasciato l’Europa in una posizione di rincorsa. Nel settore automobilistico, la Cina produce oggi il 30% dei veicoli mondiali, rispetto al 15% dell’Europa, mentre i giganti asiatici come Toyota e BYD dominano l’innovazione tecnologica con investimenti massicci in software e intelligenza artificiale. Gli Stati Uniti, invece, hanno rafforzato la loro leadership grazie al back-reshoring (riportando la produzione nei confini nazionali) e a programmi di investimento pubblico come il CHIPS Act, pensati per stimolare la ricerca tecnologica e il rafforzamento della filiera produttiva.
L’assenza di una strategia industriale in Europa è un problema strutturale. Mario Draghi, ex presidente della BCE ed ex presidente del consiglio italiano, nel suo rapporto “Il futuro della competitività europea” presentato nel settembre 2024 alla Commissione Europea, ha evidenziato come «il settore automobilistico è un esempio chiave della mancanza di pianificazione dell’Unione e dell’applicazione di una politica climatica senza quella industriale». Questo approccio ha penalizzato l’industria europea, che non ha saputo combinare la decarbonizzazione con una spinta sincronizzata alla catena produttiva.
Mentre la Cina ha investito in ogni segmento della filiera dei veicoli elettrici, dall’estrazione delle materie prime allo sviluppo delle infrastrutture di ricarica, l’Europa è rimasta indietro, concentrandosi maggiormente su regolamentazioni piuttosto che su investimenti strategici. A fare la differenza è proprio lo stato di avanzamento delle tecnologie comparate per i diversi continenti: dal 2012 infatti la Cina ha avviato un importante piano di sviluppo centralizzato su questo fronte, impegnandosi sull’innovazione di motori elettrici, tecnologie di gestione dei software di autovetture e Intelligenza Artificiale. Luca De Meo, amministratore delegato di Renault e presidente dell’Acea al G7 dei trasporti di Milano, posiziona la Cina una generazione avanti rispetto al resto dei concorrenti internazionali. Gli USA, su questo fronte, stanno investendo da anni in un piano di innovazione tecnologica con l’obiettivo di restare al passo con l’industria automobilistica cinese.
Lo stesso Draghi prende atto del vantaggio cinese e suggerisce una possibile strategia: «La concorrenza cinese sta diventando acuta in settori come la tecnologia pulita e i veicoli elettrici, grazie a una potente combinazione di politiche industriali e sussidi massicci, innovazione rapida, controllo delle materie prime e capacità di produrre su scala continentale – si legge nel rapporto “Il futuro della competitività europea” –. L’UE deve affrontare un possibile compromesso. Una maggiore dipendenza dalla Cina può offrire il percorso più economico ed efficiente per raggiungere i nostri obiettivi di decarbonizzazione. Ma la concorrenza statale cinese rappresenta anche una minaccia per le nostre industrie produttive di tecnologia pulita e automobilistica. La decarbonizzazione deve avvenire per il bene del nostro pianeta. Ma affinché diventi anche una fonte di crescita per l’Europa, avremo bisogno di un piano congiunto che abbracci le industrie che producono energia e quelle che consentono la decarbonizzazione, come la tecnologia pulita e l’industria automobilistica».
La misura del gap è data dall’analisi dell’industria delle batterie destinate alla mobilità elettrica, un tema che abbiamo già trattato nella VIII edizione del White Paper analizzando la mappa delle supply chain nel comparto automotive. Una mappa che, ad oggi, continua a vedere stabilmente ai vertici solo produttori asiatici. Lo certifica la fotografia scattata periodicamente dalla società di ricerca sudcoreana Sne Research, che misura la capacità complessiva delle batterie installate sui veicoli elettrici di tutto il mondo e il peso dei diversi produttori, colossi industriali che hanno sede inevitabilmente tra Cina, Corea del Sud e Giappone.
Il report di novembre 2024 indica al vertice le cinesi CATL (con 36,8% della capacità di stoccaggio installata) e BYD (con il 16,8%): la prima è specializzata nella produzione di batterie, e a fine 2024 ha annunciato un piano per realizzare una rete di migliaia di stazioni in cui gli automobilisti potranno sostituire una batteria scarica con una carica in meno di due minuti; la seconda è la casa automotive che contende a Tesla la leadership globale nelle vendite di veicoli elettrici. Sul terzo gradino del podio troviamo la sudcoreana LG Energy Solution (11,8%). A seguire CALB (Cina, al 4,8%), SK on (Corea del Sud, 4,5%), Panasonic (Giappone, 4,1%), Samsung SDI (Corea del Sud, 3,8%), Gotion (Cina, 2,6%), EVE Energy (Cina, 2,4%) e Sunwoda (Cina, 2,1%).
Di fronte a questo squilibrio, per l’Europa non si prospettano soluzioni facili né di breve periodo. Il rapporto Draghi propone un cambio di paradigma per recuperare il terreno perduto. Tra le sue raccomandazioni spicca l’esigenza di sviluppare un piano industriale comune che integri decarbonizzazione e competitività, promuovendo una maggiore autonomia strategica del continente. Nel piano proposto dall’ex presidente della BCE vengono individuati 10 settori strategici per rilanciare la competitività dell’Unione Europea, tra cui industrie energivore, automotive, tecnologie pulite e digitalizzazione. Per le industrie energivore, il rapporto sottolinea le sfide legate alla decarbonizzazione, un processo che richiederà nei prossimi 15 anni investimenti complessivi pari a 500 miliardi di euro in settori chiave come chimica, metalli di base, minerali non metalliferi e carta. Draghi propone misure concrete come il potenziamento dei finanziamenti del programma NextGenerationEU per sostenere la transizione ecologica e l’introduzione del meccanismo CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism), che mira a proteggere le imprese europee dalla concorrenza di paesi con standard ambientali inferiori. Tuttavia, il rapporto avverte che ulteriori interventi saranno necessari per garantire la competitività a lungo termine di queste industrie.
Il Clean Industrial Deal, annunciato dalla presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen in occasione della sua rielezione nel luglio 2024, potrebbe rappresentare un primo passo, ma necessita di una visione coordinata per attrarre investimenti in ricerca e sviluppo, specialmente nel digitale e nell’intelligenza artificiale.
«Abbiamo bisogno di un nuovo patto per l’industria pulita nei primi 100 giorni del mandato per garantire imprese competitive e posti di lavoro di qualità – ha annunciato Von der Leyen presentando le linee guida del suo secondo mandato di fronte al Parlamento Europeo –. Tributeremo la massima attenzione al sostegno e alla creazione delle giuste condizioni per le imprese, affinché siano in grado di conseguire gli obiettivi comuni. A tal fine sarà necessario semplificare, investire e garantire l’accesso a un approvvigionamento energetico e a materie prime a basso costo, sostenibili e sicuri». La presidente della Commissione ha inoltre promesso «una normativa per accelerare la decarbonizzazione industriale al fine di sostenere le industrie e le imprese nella transizione».