L’aumento dei prezzi dell’elettricità non è l’unica sfida che la mobilità elettrica si è trovata a dover affrontare in questo 2022. Anche l’aumento dei costi e della disponibilità delle materie prime, la cronica carenza di ricambi e l’aumento dei prezzi delle batterie al litio hanno avuto e hanno ancora un impatto considerevole sulla produzione e sulle vendite di automobili. La transizione energetica verso una produzione essenzialmente rinnovabile e l’affermazione della mobilità elettrica potranno avvenire solo se entrambi questi settori non solo sapranno instaurare un rapporto di collaborazione, ma anche se sapranno gestire estrazione, produzione, commercio e soprattutto riciclo di metalli e terre rare. Entrambi infatti – mobilità elettrica e produzione energetica rinnovabile – sono affamati di questi minerali critici, concentrati nelle mani di pochi Stati. Il rischio è essi possano diventare un collo di bottiglia sia per lo sviluppo delle rinnovabili, come per esempio nella costruzione dei magneti nei rotori delle turbine eoliche, sia per lo sviluppo della mobilità elettrica all’interno delle batterie delle auto. E non è un caso che molte case automobilistiche stiano cercando di entrare più direttamente nel settore minerario.
All’inizio del 2022 il gruppo Stellantis ha firmato un accordo di fornitura di litio con Vulcan Energy Resources e ha dichiarato che avrebbe investito 50 milioni di euro per acquistare una quota della società. General Motors investirà circa 69 milioni di dollari per acquisire una partecipazione azionaria in Queensland Pacific Metals al fine di garantirsi forniture di nichel e cobalto e ha stipulato anche un accordo con Levent Corp per la fornitura di litio per i prossimi sei anni.

Cina e Taiwan
La sabbia alimenta le tensioni
La sabbia di quarzo, un tipo di sabbia naturale, è un’importante materia prima per la produzione di chip. Se la Cina è uno dei principali esportatori di sabbia di quarzo verso Taiwan, l’antica Formosa è proprio il cuore dell’industria globale di semiconduttori. Nel frattempo, la guerra in Ucraina e la visita della Speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti Nancy Pelosi nella capitale Taipei hanno esacerbato le tensioni già in atto tra i due Paesi, con il Dragone che non riconosce l’indipendenza di Taiwan e che vorrebbe riannetterla all’interno dei suoi confini. Ad agosto 2022, la Cina ha deciso così di fermare l’esportazione di sabbia verso Taiwan, che dal canto suo minimizza dichiarando che dalla Cina importerebbe solo tra lo 0,6 e lo 0,7% della sabbia di cui ha bisogno. Un episodio geopolitico che in ogni caso mette in luce il ruolo di un’altra materia prima che si credeva “infinita” e che invece si scopre essere merce di scambio e di pressione militare, ma soprattutto di cui si prevede una domanda esponenziale che potrebbe mettere a rischio ecosistemi naturali fragili quali i fondali marini.
I metalli più ambiti? Litio, cobalto, rame, nichel e metalli rari come il neodimio e il disprosio. L’approvvigionamento di queste risorse è critico per vari motivi: da una parte per il fatto che l’estrazione avviene in un numero ristretto di Paesi, quasi sempre fuori dall’UE, spesso caratterizzati da una situazione politica instabile; d’altra parte, per il peso decisionale di chi possiede i giacimenti.
Come spiega il Peterson Institute for International Economics, mentre la produzione di un minerale può essere ampiamente diffusa a livello globale, un’azienda può estendere il controllo finale (anche attraverso le filiali) sulle decisioni di diverse aziende che producono quel minerale in altri Paesi. I dati presentati nello studio mostrano che la Cina è diventata l’attore principale nella raffinazione e nel consumo di beni che necessitano di minerali critici, proprio come gli Stati Uniti nell’energia basata sui combustibili fossili, con il successo ottenuto negli ultimi anni nello sfruttamento del gas naturale attraverso il fracking. Il documento mostra chiaramente un predominio cinese sulla produzione e raffinazione della maggior parte di questi minerali, eccezion fatta per il nickel dove la maggior parte delle aziende produttrici è controllata da un mix di fondi di investimento e azionisti industriali provenienti da vari Paesi.
CRESCITA NELLA RICHIESTA DI METALLI DELLA TRANSIZIONE
Produzione metalli della transizione: i paesi di riferimento
LUOGHI LAVORAZIONE METALLI DELLA TRANSIZIONE
Al contrario di quanto si possa immaginare, gli Stati Uniti non ospitano alcun azionista di rilievo (ad eccezione dei fondi passivi). E l’Europa? Il Vecchio Continente è assente nelle supply chain di questi minerali: una situazione delicata, che sta spingendo l’UE a fare uno sforzo importante in termini di sviluppo di tecnologie di riciclo, come vedremo nel capitolo 3 di questo White Paper. Le questioni relative alla proprietà e alla produzione di questi minerali sono svariate e non si limitano alla loro disponibilità sui mercati, ma anche ad aspetti che costituiscono i valori dell’Unione europea, ad esempio gli effetti nefasti sull’ambiente, i diritti dei lavoratori e la governance. Sempre il report del Peterson Institute raccomanda che i Paesi sviluppati migliorino la loro conoscenza della rete di proprietà e della struttura di controllo delle aziende che operano nell’industria dei minerali critici, prestando maggiore attenzione ai problemi di governance, in particolare alla corruzione, nei Paesi produttori. I Paesi consumatori dovrebbero inoltre prestare attenzione alle fusioni tra imprese produttrici e/o consumatrici per evitare colli di bottiglia nella produzione. Una delle soluzioni per ridurre l’eccessiva esposizione è che Stati e imprese sovvenzionino le attività economiche al fine di esplorare fonti alternative per la loro transizione verso l’energia pulita e il riciclo i minerali critici di scarto.
Nel frattempo, a inizio gennaio ‘23, è arrivata una notizia che per l’Europa potrebbe rimescolare le carte in tavola: la società mineraria statale svedese LKAB ha comunicato di aver individuato oltre 1 milione di tonnellate di ossidi di terre rare nell’area di Kiruna, nell’estremo nord del Paese. Si tratterebbe del più grande giacimento conosciuto in Europa di questi elementi. Ma la strada per un loro utilizzo è lunga e tortuosa. LKAB ha affermato, infatti, che ci vorranno almeno 10-15 anni prima di poter iniziare a estrarre terre rare e farle arrivare sul mercato europeo. Ciononostante non si esclude che tale giacimento potrebbe diventare una base importante per la produzione di materie prime critiche che sono assolutamente cruciali per consentire la transizione verde.