Secondo dati ACEA, l’industria europea dell’automotive, tradizionale e non, produce il 25% delle autovetture e il 19% dei veicoli commerciali in tutto il mondo. In termini occupazionali sarebbero 3,5 milioni le persone che direttamente e indirettamente lavorano nel settore ovvero l’11,6% dei lavoratori della manifattura europea. Geograficamente l’occupazione è di gran lunga più alta in Germania con circa 882.000 posti di lavoro, seguita da Francia (229.000), Polonia (214.000), Romania (191.000), Repubblica Ceca (181.000), Italia (176.000), Regno Unito (166.000), Spagna (163.000) e Ungheria (102.000).
L’avvento della mobilità elettrica e l’annuncio da parte di molti Paesi di voler fermare le produzioni di auto a motore a scoppio entro poco più di un decennio ha subito lanciato l’allarme sulla possibilità che migliaia di posti di lavoro vadano persi in tutta Europa. Anche in Italia le associazioni industriali hanno affermato che l’orizzonte al 2035 è ora inattuabile e rischia di bruciare oltre 70.000 posti di lavoro entro il 2030. Un dejà vu che ci riporta ai primi tempi degli sviluppi delle energie rinnovabili, dove fosche proiezioni affermavano che le rinnovabili avrebbero cancellato molti posti di lavoro del settore energetico. Il risultato? Secondo lo studio di un team internazionale di accademici, tra cui anche quelli del milanese Istituto Europeo di Economia e Ambiente (EIEE), i posti di lavoro globali nell’energia rinnovabile aumenteranno di cinque volte da 4,4 milioni di oggi a 22 milioni entro il 2050, con oltre l’85% di questi guadagni nei settori eolico e solare.
I posti di lavoro nel settore dei combustibili fossili, allo stesso tempo, scenderanno da 12,6 milioni a 3,1 milioni, con circa l’80% delle perdite di posti di lavoro legate all’estrazione di petrolio, gas e carbone. Questi risultati mostrano che, mentre la maggior parte dei posti di lavoro nei combustibili fossili potrebbe andare perduta con il declino di questi settori il tasso di occupazione potrebbe essere compensato dalle nuove opportunità generate nel comparto delle energie rinnovabili. Perché questo è l’andamento naturale di ogni evoluzione tecnologica: alcuni posti di lavoro scompaiono, altri vengono creati o, come afferma uno studio del Fraunhofer Institute for Organization and Industrial Engineering commissionato da Volkswagen, “non c’è una tendenza occupazionale uniforme nel ‘corridoio di trasformazione’ del prossimo decennio. Invece, ci sarà una miscela complessa e interconnessa di creazione di posti di lavoro, miglioramento dei posti di lavoro e tagli di posti di lavoro”.
Difficile dunque fare previsioni, ma pensiamo a giganti come Tesla o alle numerose start-up che ora popolano il mercato, come la già citata Rivian: esse stanno portando via fette di mercato agli attori tradizionali, dimostrando un potenziale occupazionale ancora tutto da sviluppare. Accanto a questi dati di fatto, vi sono alcuni studi recenti, come quello condotto per il mercato tedesco dal gruppo di esperti Agora Verkehrswende e Boston Consulting Group, che affermano come il passaggio alla mobilità elettrica potrebbe alla fine rivelarsi un vantaggio per l’industria automobilistica tedesca. Al suo interno, si evidenza che con la rivoluzione portata dal passaggio alle auto elettriche il numero di posti di lavoro potrebbe rimanere sostanzialmente lo stesso di oggi e persino aumentare leggermente. Secondo tali calcoli, la transizione potrebbe creare fino a 205.000 nuovi posti di lavoro contro i circa 180.000 posti di lavoro che andrebbero persi nelle aziende che si affidano in larga misura alla tecnologia dei motori a combustione, con un effetto netto positivo di circa 25.000 posti di lavoro.
È probabile, dunque, che le perdite di posti di lavoro dovute all’introduzione della mobilità elettrica che si registreranno nel periodo medio breve, saranno sostanzialmente inferiori rispetto a quanto temuto.